Psicologia

RIFLESSIONI SUL DDL 735

RIFLESSIONI SUL DDL 735
Anita Lanotte Consigliere AIPG Presidente CEIPA
Pubblicato su Newsletter n. 57 Ottobre 2018

Molti sono i problemi della famiglia separata e proporre riforme equilibrate delle norme sull’affidamento dei figli minori è molto complesso e necessita di particolare sensibilità e flessibilità da parte di legislatori che dovrebbero rappresentare primariamente l’interesse dei figli. Con la Legge 08/02/2006 n.54, entrata in vigore il 16 marzo 2006, il legislatore ha inteso perfezionare la disciplina dell’affidamento dei figli in materia di separazione. La principale novità della nuova normativa è stata l’affidamento, di regola, ad entrambi i genitori rispetto alla normativa precedente dove, di regola, era a un solo genitore. Congiunto solo se richiesto da entrambi i genitori. Per quanto riguarda la frequentazione dei figli, modalità flessibili, secondo accordi, all’interno di regole stabilite con l’obbligo di presenza e partecipazione per entrambi i genitori e libertà per i figli di frequentarli ambedue, secondo le esigenze dei minori, mutevoli nel tempo considerata la loro età cronologica. Al fine di definire “la corretta applicazione” del provvedimento dell’affidamento condiviso, quale concreta attuazione del principio della bigenitorialità, il DDL 735 nell’art.11, per quanto riguarda la frequentazione genitori/figli, stabilisce che il figlio “ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti…. non meno di 12 giorni al mese compresi i pernottamenti”. La tendenza alla recisione matematica spazio-temporale in due metà equivalenti dei figli di genitori separati dimostra quanto non si è posta attenzione alcuna né tantomeno tenuto conto dell’età dei figli. L’interesse per il funzionamento della psiche infantile, dagli inizi del 900 in poi, ha favorito la ricerca, nella Psicologia Clinica e dello Sviluppo, dalla infant observation ai legami d’attaccamento e alle funzioni riflessive come basi strutturali alla formazione precoce del Sé e alla organizzazione delle funzioni coscienti e inconsce della mente umana. Le diverse fasi di sviluppo del figlio, dalla prima infanzia al periodo preadolescenziale e adolescenziale fino a 18 anni, presentano bisogni, esigenze, aspettative sia intra che interpersonali tipiche per fasce differenziate di età, con dimensioni psicofisiche in continuo dinamismo, con equilibri e relazioni che mutano nello spazio e nel tempo. La prospettiva di modalità pratiche di un’effettiva realizzazione dell’affidamento condiviso, deve salvaguardare le esigenze di vita del figlio che necessita di un’organizzazione spazio temporale sufficientemente stabile per organizzare un attaccamento non disorganizzato, un modello genitoriale, seppur separato, coerente nel rappresentarsi attraverso ruoli e funzioni fluidi, non confusivi, non conflittuali, non scissionali ma orientati nel guidare il figlio nella costruzione della sua futura vita, nel contenerlo e sostenerlo nei suoi potenziali, nelle sue attitudini, nel suo modo di essere individuo nelle relazioni successive alla coppia genitoriale. L’interesse dei minori da parte degli adulti, in modo particolare nella fascia di età di prima infanzia, dovrebbe essere quello di evitare processi interni di tipo scissionale e non di finzioni giuridiche che devono soddisfare le richieste di adulti che pretendono di disciplinare rigidamente il campo spazio-temporale in cui si organizzano i processi neurofisiologici, cognitivi, emotivi, relazionali, dinamici di un bambino che deve orientarsi verso un senso di sé continuo e contiguo nelle diverse dimensioni psichiche che, integrate e in sintesi tra loro, trasferiranno, a livello mentale/simbolico, i significati delle loro esperienze di vita. L’affidamento condiviso paritario nei tempi di frequentazione, senza considerare l’età dei figli, mostra la tendenza a far prevalere desideri, esigenze e pretese adultocentriche ma soprattutto a depotenziare e, a volte, eliminare le dimensioni psichiche che da sempre hanno tradotto il simbolo del padre e della madre nella coppia genitoriale, per lasciare il posto ad un sociale orientato a sottolineare il fatto che non esistono differenze di struttura, di funzione, di ruolo tra femminile e maschile. I profondi significati del Pater come altro dalla Mater nella nostra cultura stanno sfumando sempre di più e la perdita di tale differenza, di tale alterità, di tali confini simbolici e sentimentali viene giustificata e legittimata attraverso un far credere che siamo tutti uguali nella forma e nella sostanza. Sicuramente siamo tutti uguali nella necessità di raggiungere un benessere personale estremamente fragile se non si è capaci di modulare l’assetto narcisistico della propria personalità che la presenza di un figlio rivitalizza ed enfatizza. Il Diritto reale e non virtuale dovrebbe sempre avere, come parametro principale di riferimento, l’ interesse superiore del minore e non alimentare un funzionamento scissionale dello stesso attraverso un affidamento condiviso paritetico nei tempi di frequentazione madre/figlio, padre/figlio. Il Diritto non dovrebbe sostenere il bisogno di genitori orientati a impossessarsi del figlio, di usarlo come oggetto diviso in due e alienarlo nella sua alterità, integrità e stabilità. Il Diritto dovrebbe formulare norme operativamente applicabili affinché il genitore possa accettare la sua funzione e la consapevolezza dei suoi limiti solo materni o solo paterni che non possono essere confinati in rigidi schemi spazio – temporali al di là dei propri desideri e aspettative. Un’effettiva e proficua bigenitorialità, ovvero cogenitorialità, finalizzata a una crescita serena ed equilibrata dei figli e realizzata attraverso una rielaborazione relazionale del sistema familiare pregresso, non può prescindere dall’età dei minori e dai tempi materni, sicuramente più dilatati nella prima infanzia; non può prescindere dal genere sessuale che può dilatare i tempi materni e/o paterni nel percorso imitativoidentificativo del figlio o della figlia; non può prescindere dall’ingresso nel sociale del minore attraverso gli impegni scolastici, extrascolastici, amicali, che possono ridurre i tempi sia del materno che del paterno. La necessità di un confronto e dibattito comune tra il Diritto e la Psicologia Clinica dello Sviluppo che da anni è chiamata ad occuparsi di Psicologia Giuridica per offrire le proprie competenze quando il bambino entra in campo nei procedimenti civili e penali che lo riguardano, può permettere di individuare delle più consone modalità di tempi di frequentazione genitori/figli. Ciò nella convinzione che i genitori sono entrambi necessari ai figli ma non come diritto soggettivo del minore quanto come doveri oggettivi di cura, educazione, protezione e rispetto da parte di un 5 padre e di una madre responsabili nel loro ruolo e nella loro funzione. Ulteriori riflessioni appaiono importanti riguardo la mediazione familiare obbligatoria: l’art. 1 del disegno di legge 735 prevede l’Istituzione dell’albo nazionale per la professione di mediatore familiare; al punto a) si riporta che “possono esercitare la professione di mediatore familiare le persone in possesso della laurea specialistica in discipline sociali, psicologiche, giuridiche, mediche o pedagogiche, nonché della formazione specifica, certificata da idonei titoli quali master universitari ovvero specializzazioni o perfezionamenti presso enti di formazione riconosciuti dalle regioni, aventi durata biennale e di almeno 350 ore”; al punto b) si definisce che “possono altresì esercitare l’attività di mediazione familiare coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge sono in possesso di laurea specialistica e che hanno già ottenuto la qualifica di mediatore familiare a seguito della formazione specifica almeno biennale certificata da master universitari ovvero a seguito della frequenza e del superamento dell’esame finale presso corsi di formazione almeno biennali e della durata di almeno 350 ore, purché svolti e conclusi entro il 31 dicembre 2018”; al punto c) si ribadisce che: “la qualifica di mediatore familiare può essere attribuita anche agli avvocati iscritti all’ordine professionale da almeno cinque anni e che abbiano trattato almeno dieci nuovi procedimenti in diritto di famiglia e dei minori per ogni anno”. L’art. 7 del disegno di legge 735 al primo comma è premesso che “I genitori di prole minorenne che vogliano separarsi devono, a pena di improcedibilità, iniziare un percorso di mediazione familiare…” La mediazione familiare, funzione estremamente delicata quando si entra nel campo dei conflitti genitoriali in cui gli stati emozionali della coppia in fase separativa necessitano di modalità specifiche di intervento, non può essere una materia in cui si contendono il campo molti professionisti che riducono l’attività di mediazione ad una semplice specializzazione di chi già opera, attraverso titoli professionali, in altri campi. Inoltre, se si considera la mediazione familiare in termini di gestione del conflitto, di formula conciliativa di giustizia informale extraprocessuale che può svolgere una funzione preventiva all’assunzione dei provvedimenti da parte del giudice, allora è sicuramente positivo l’intervento di un professionista che, attraverso un unitario percorso formativo e chiare regole deontologiche, garantisca professionalità, neutralità, terzietà e imparzialità sia rispetto alle parti che rispetto al giudice. Ma se deve essere obbligatoria, fuori procedimento civile, in alternativa alla domanda di giustizia che ogni cittadino libero ha il diritto di richiedere in materia di famiglia, a tutela del superiore interesse del minore, si innesta un criterio che non è contemplato nello scopo dell’istituto della mediazione familiare, ovvero la libertà di scelta. Che la mediazione debba intendersi come necessità da parte di una coppia genitoriale di gestire il conflitto è facilmente comprensibile così come è argomentabile la necessità di uno spontaneo accesso alla procedura per il diritto alla libertà di far riferimento alla giustizia per qualsiasi cittadino. In materia di conflitti familiari, nello specifico in ambito di separazione e/o fine convivenza di coppia con la presenza di figli minori, è indubbio l’apporto del legale o dei legali delle parti che, grazie alla loro competenza ed esperienza, si rendono immediatamente conto, dalle motivazioni all’azione legale, del livello di gravità del conflitto di coppia. Il ruolo dell’avvocato è fondamentale nell’informare e suggerire al suo cliente il possibile ricorso stragiudiziale alla mediazione così come è fondamentale che il giudice possa vagliare i contenuti degli eventuali accordi raggiunti in relazione al superiore interesse dei figli. Molto spesso, nella motivazione alla separazione, si rintraccia l’impossibilità di un percorso di mediazione a causa di evidenze oggettive che, nel corso della vita di coppia convivente, hanno deteriorato e sgretolato il progetto familiare. Un genitore con problematiche psicopatologiche e/o psicopatiche, un genitore violento, un 6 genitore dedito all’abuso di alcool, droghe, dedito al gioco d’azzardo, dedito comunque a dipendenze che si riflettono in comportamenti discontrollati e inadeguati nelle relazioni familiari, sono alcune delle motivazioni frequenti nel contesto di controversie per l’affidamento dei figli e dovrebbero, nell’immediatezza, innestare una procedura giudiziale affinché il giudice prenda atto di richieste a tutela degli interessi superiori dei figli. Ci sono poi situazioni in cui le evidenze oggettive sono scolorite, soprattutto nei casi di accuse di alienazione parentale e/o violenza psicologica, ma anche situazioni dove l’equilibrio della coppia genitoriale è mantenuto stabile esclusivamente dall’attivazione del conflitto. Molte e diversificate sono le dinamiche di coppia che mettono a rischio l’interesse superiore dei figli minori ed ogni caso deve essere affrontato nella sua specificità. Rendere obbligatoria la mediazione nella fase stragiudiziale, ovvero tenere fuori il giudice da “accordi privati” in cui i diritti dei figli minori sono annullati dagli obblighi che gli stessi devono ottemperare per soddisfare piani genitoriali “obbligatoriamente condivisi”, significa un abuso di potere da parte di un sistema privato, sostenuto da disegni di legge che disconoscono i diritti dei minori, non solo disconoscono le parti deboli ma non le considera soggetti di diritto. L’autonomia di una coppia genitoriale o di un solo genitore di separarsi, di interrompere un rapporto di convivenza non può prescindere dalle motivazioni che stanno alla base di storie esistenziali pregresse dove i figli sono stati spettatori di situazioni che, caso per caso, devono essere considerate all’interno di un procedimento legale. Obbligare la coppia genitoriale, attraverso l’istituto della mediazione, ad accordi consensuali stragiudiziali, riflette la rilevanza che l’autonomia privata assume nel diritto di famiglia e di come il potere di chi è più abbiente possa condizionare “piani genitoriali condivisi”. La nuova fisionomia dell’istituto di mediazione proposta nel DDL 735 diviene, infatti, lo specchio sul quale si riflette la rilevanza che l’autonomia privata e di potere adultocentrico assume nel diritto di famiglia relegando nuovamente il minore ad oggetto passivo e non soggetto attivo nei procedimenti civili che lo riguardano. Si ricorda che tra i principi fondamentali stabiliti nella raccomandazione della Comunità EuropeaComitato dei Ministri degli Stati Membri sulla mediazione familiare n. 616 R del 21/01/1998 si rileva la necessità di estendere la possibilità di ricorrere alla mediazione per ogni conflitto familiare (coniugale o non) e la non obbligatorietà della mediazione. L’estrema marginalità del giudice attraverso l’obbligatorietà di prendere accordi stragiudiziali, nell’interesse dei figli minori, “indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori” (Art. 11. Modifica dell’art. 337 ter c.c.), rileva l’indubbio sacrificio dei figli in quanto la finalità ultima che il DDL 735 persegue è la bigenitorialità perfetta con tempi paritetici di frequentazione, obbligando il figlio a scindersi in due metà equivalenti nel tempo e nello spazio rinunciando ad una continuità e contiguità nel suo stile di vita e ciò urta con il superiore interesse del minore a un sano e armonico sviluppo psicofisico. Forte dovrebbe emergere, da un punto di vista giuridico, psicologico e sociale l’esigenza di protezione del minore, del rispetto di questo come persona umana, in ogni contesto, soprattutto nel contesto familiare. Il rispetto e la tutela del minore comporta tanto norme di protezione in quanto soggetto la cui personalità è in evoluzione, quanto la considerazione di soggetto portatore di autonomi diritti e, nello specifico, di quei diritti garantiti, nel contesto europeo (Trattato di Lisbona e dalla Carta di Nizza). Il diritto dei figli è superiore al diritto dei genitori ed è proprio sul confine tra interesse superiore dei figli e interesse dei genitori che si definisce il limite dell’autonomia privata di questi ultimi e la necessità dell’intervento pubblico laddove tali diritti siano lesi. L’inizio di un percorso di mediazione familiare non può essere obbligatorio in quanto il risultato della mediazione familiare risulterà obbligato anche per il figlio. Il tentativo di raggiungere un accordo, avvalendosi di esperti, 7 con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli attraverso l’individuazione e la definizione delle modalità operative, personali e patrimoniali, del progetto di affidamento dei figli, necessita della volontà, nella libera scelta e di una maturità che difficilmente si riscontra nei casi di separazioni altamente conflittuali. Del resto, non a caso, il giudice è chiamato a garantire la tutela del superiore interesse del minore, in ragione del fatto che il minore non può considerarsi parte in senso processuale nei giudizi di separazione e divorzio, ma sicuramente è parte in senso sostanziale. Nonostante le diverse Convenzioni in tema di ascolto del minore, nonostante l’intervento della Suprema Corte che, con un’ importante pronuncia, resa a sezioni unite, è giunta a considerare, con specifico riguardo all’audizione, il minore parte in senso sostanziale nei procedimenti riguardanti l’affidamento dei figli (Cass., sez. un., 21 ottobre 2009 n. 22238), nell’articolato DDL 735, attraverso l’obbligo della mediazione stragiudiziale, si sottolinea il diritto del minore a non essere ascoltato.